Il 15 Marzo di due anni fa la vita ci ha regalato di nuovo il sorriso e la felicità di un adolescente scatenato che non fa altro che mettere a dura prova i nervi e la pazienza.
Un regalo o una conquista. O forse altro. Chi lo sa! Quello che so per certo è che in quei momenti sospesi nel vuoto dove non conti le ore infinite di attesa, non senti più nulla di fisiologico e di vitale dentro di te; è un tempo che passa senza fretta: una scansione cronologica di eventi che fino a quel momento hanno accompagnato la tua vita, e la sua.
Ogni ora equivale a un compleanno, a una prima volta, a una candelina dopo l’altra su una torta a undici piani.
E mentre sei li che attendi senza poter fare altro, ripensi all’incontro del minuto prima quando tutta la situazione ti sembrava ancora impossibile, inspiegabile e ingiusta. A quell’istante ti aggrappi con ogni forza. Ripensi a come avresti voluto descrivergli l’infinito e invece è successo che di tutte le parole immaginate ne sono venute fuori appena due o tre, stupide e magari fuori luogo. Perché, chi si trova dall’altro lato ad aspettare, ha voglia di sentirsi dire lui stesso qualcosa: una piccola frase, un verso, una parola capace di riempire il vuoto dell’inspiegabile; di mettere a tacere il silenzio di occhi lucidi e carichi di incertezza, occhi che si fanno portavoce delle parole più difficili da ascoltare.
Finisce sempre che ci si affida alla banalità dei modi di dire, a un“andrà tutto bene” di circostanza. E quando tutto manca viene in aiuto la pancia, giacché cuore e testa sono disconnessi.
“Cosa vuoi mangiare quando tutto sarà finito?”
Quell’unico desiderio, qualunque esso sia, sai che certamente sarà possibile realizzarlo. Una promessa che finalmente potrai mantenere. Le parole che aspettavi e che ti accompagneranno addolcendo l’attesa.
Quando quell’andrà tutto bene si sarà trasformato in verità, non si ha ricordo delle ore trascorse nel durante e dei giorni difficili passati nel dopo. Ma degli attimi veloci che hanno accompagnato il prima.
Da quel giorno io sento di dover dire grazie alla vita, ogni anno vorrei farlo celebrando un compleanno con tanto di torta e candeline, proprio come una seconda nascita. Ma la mia idea di smielata gratitudine non piace più all’adolescente scatenato. A dirla tutta, da qualche tempo non ama nessuna delle idee che vengono fuori dalla testa ottusa e bigotta dei due che prima erano “mia mamma e mio papà” e ora sono “mia madre e mio padre”. Perché, se ancora qualcuno di voi non lo sa, c’è una sottile differenza tra i due modi di dire e questa età turbolenta sa bene come rimarcarla.
E allora eccoci qui come ogni anno a celebrare il nostro compleanno non con una torta ma con il Morzello di Nonno Pino. Non spegniamo le candeline ma inzuppiamo la Pitta Catanzarese dentro un piatto colmo di sugo rosso e corposo con un potenziale digestivo piuttosto lungo e difficile. Un lavoro certosino che a volte richiede anche due giorni di lavoro, un piatto che solo un nonno paziente e innamorato può vantare il privilegio di realizzare. Un inno alla gioia, un ritorno al sorriso, una promessa mantenuta.
Il Morzello di Nonno Pino
Precisiamo che il Morzello catanzarese originale (Morzeddu) è diverso da questo. Cambia il taglio della trippa che anziché a cubetti viene fatta a listarelle, cambia il condimento e la dose di peperoncino. A Catanzaro è decisamente molto piccante. Ognuno ha la sua versione ma l’intingolo è lo stesso.
Mio suocero ordina tutto in macelleria ed è molto scrupoloso sugli ingredienti da usare, per questo quando decide di preparalo, o quando gli viene sdolcinatamente chiesto di farlo, parte con settimane di anticipo e in testa una data ben precisa, di solito si aggira intorno al 15 del mese. 🙂 Ogni operazione di pulizia viene fatta personalmente da lui e da mia suocera. Io non potrei mai avere questa pazienza, quindi non temete, coloro i quali condividono il mio mood potranno trovare la trippa già pulita al supermercato. Per il resto degli ingredienti dovete avere un macellaio di fiducia, le interiora difficilmente si trovano in negozio.
Ingredienti per un numero imprecisato di persone
3 kg trippa di bovino (più o meno una trippa intera tra rumine, reticolo e omaso)
Trachea, polmoni, milza, rene
1 cuore
500 gr pancia di vitello
1 coda intera
250 gr concentrato di pomodoro
250 gr concentrato di peperone leggermente piccante
1,5 litri d’acqua calda o brodo di vitello
1 rametto di origano
2, 3 foglie di alloro
olio d’oliva
sale, pepe e peperoncino
Pitta Catanzarese o pane similare, purché sia freschissimo
Preparazione
La trippa da pulire ha un procedimento davvero lungo, va sbollentata prima per una decina di minuti in acqua e limone e poi con un coltello bisogna raschiare tutta la parte scura, questa operazione va fatta quando la trippa è ancora calda e in una cucina piuttosto spartana. La centopezzi è quella che presenta la difficoltà maggiore. Ultimato questo procedimento la trippa va lavata in abbondante acqua fredda ed eventualmente sgrassata. Dopo di che va bollita in acqua salata per almeno un’ora prima di essere pronta all’uso che volete farne. Se decidete di optare per la trippa del supermercato avete tutta la mia stima. Ma dal momento che la ricetta è di Nonno Pino cerchiamo di seguire il suo procedimento. In tal caso armatevi di pazienza, guanti e limone, l’odore iniziale non è molto invitante.
Il morzello oggi è una vera prelibatezza ma nasce come cibo povero e di nicchia. La trippa e le interiora non erano consumate dai ricchi, venivano buttate o regalate ai contadini che, facendo di necessità virtù, riuscivano a creare delle vere leccornie. La trippa di per se è un alimento magro ma contiene molte proteine, ragione per cui i contadini lo consumavano come spuntino di metà mattinata, quando già avevano sulle spalle mezza giornata di lavoro. Contiene anche ferro, il che lo rende un alimento perfetto per chi come me deve costantemente combattere con l’anemia, non va bene per chi soffre di gotta ahimè…contiene alti livelli di purine. Ma si sa, na ‘nticchia ogni tanto non fa male a nessuno.
Dunque veniamo di nuovo al procedimento. Messa la trippa a bollire continuate con il resto degli ingredienti. In una pentola a parte bollite il polmone e la trachea, in un’altra ancora la milza e il rene. Bastano pochi minuti, le interiora devono solo spurgare, poi verranno cotte insieme al resto degli ingredienti. Scolate tutto, lasciate intiepidire e iniziate il lento lavoro del taglio a cubetti. Ogni pezzo deve essere della stessa dimensione, come potete vedere nelle foto che seguono al post.
In una pentola gigante mettete abbondante olio d’oliva, la ricetta originale prevede il grasso di bovino ma noi optiamo per la leggerezza. 🙂 si fa per dire.
Fate scaldare l’olio e aggiungete il cuore e la pancia tagliati in piccoli pezzi, la coda rimarrà invece con il suo osso. Soffriggete per qualche minuto e sfumate con poco vino bianco. Appena il vino sarà evaporato ponete dentro la pentola la trippa e il resto delle interiora. Continuate a soffriggere lentamente per circa mezz’ora. Aggiungete il concentrato di pomodoro, amalgamatelo lentamente finché non sarà stato assorbito dalle carni. Aggiungete ora il concentrato di peperone e l’acqua calda. ( A volte mio suocero la sostituisce con del buon brodo di vitello). Salate e fate cuocere con coperchio e a fuoco molto basso per almeno sei ore. Nel frattempo preparate il mazzetto di origano e la salvia. Legateli insieme con dello spago abbastanza lungo che appunterete al manico della pentola e di tanto in tanto lo intingerete nel sugo. C’è chi preferisce il Morzello con abbondante origano e chi vuole dargli un gusto più leggero. Regolatevi secondo i gusti.
Sarete certi che il Morzello è pronto quando il condimento affiorerà in superficie e la carne della coda si sarà staccata completamente dall’osso. Aggiustatelo se necessario di sale e pepe e servitelo caldo dentro la pitta ma anche comodamente nel piatto inzuppandovi il pane fresco.
Se dopo il pranzo vi aspetta una lunga giornata di lavoro con zappa e martello sarà facile elaborare il tutto, altrimenti preparatevi a una digestione lenta e non facile davanti a un computer.
Il 15 Marzo si celebra il sorriso, ma anche il compleanno di mia suocera, quindi le candeline alla fine le spegniamo lo stesso, voglia o no l’adolescente parte di queste sono dedicate a lui. 🙂 🙂
La vita va come deve andare, senza disegni e senza perché. Esserci è già un privilegio.
Buona giornata del Morzello a tutti.
- Tutta la cucina impegnata
- Dopo pulita e sgrassata
- iniziamo a tagliare
- piccoli cibetti
- Il mazzetto di origano
- senza parole
Comment
[…] and offals. In Rome we find the famous Pajata, as well as in Florence Lampredotto, and in Catanzaro Morzello. Other elements of this poor cuisine are soups and bitter […]